Il paradosso dell’acquario

Se chiedete a cento persone se è più semplice gestire una cosa piccola rispetto ad una grande, facilmente la grande maggioranza di esse sceglierà per la prima opzione.

Che si tratti di organizzare un party oppure una vacanza. 

E le ragioni di questa preferenza sono abbastanza chiare: maggior controllo, minori responsabilità e, in definitiva, minori rischi di sbagliare; ma è sempre così?

No, non lo é, e la ragione risiede soprattutto nell’inerzia.

L’inerzia è quel principio fisico che influisce sul tempo necessario per mettere in movimento un oggetto in relazione alla sua massa: ad esempio una bicicletta si muove, allo scattare del verde di un semaforo, una frazione di secondo prima di un’auto (anche) per questa ragione.

Ma regola anche i tempi con i quali l’oggetto cambia direzione, oppure si ferma.

Molti tra quelli che hanno avuto e gestito un acquario, all’inizio, ha commesso l’errore di sottovalutare questo principio, pensando “acquario piccolo = problemi piccoli”.

E via tutti con gli acquari da 40/60 litri; altrettanto rapidi sia il fiorire di alghe che la moria di pesci. Molti cedono e offrono lo sfavillante oggetto (che era stato, almeno nelle speranze, orgoglio dell’arredamento del salotto) al deterioramento, abbandonandolo al suo destino per poi, finalmente, riporlo con malinconia in un angolo della cantina.

Una  minoranza invece avvia lunghe chiacchierate con il negoziante e la legge testi specializzati, oppure “cerca su internet”. E così scopre la verità.

La verità è che non è così complicato sfoggiare in salotto un acquario pulito, dove sguazzano allegramente, tra la vegetazione lussureggiante, pesciolini multicolore; purché non sia troppo piccolo.

E torniamo all’inerzia, che ci da una spiegazione del perché.

L’acquario non è altro che un mini ecosistema e la sua sopravvivenza si fonda su equilibrio e stabilità.

Per questo l’acquario grande, pur richiedendo maggior lavoro di avviamento risulta successivamente meno suscettibile ai cambiamenti di temperatura, di acidità e di presenza di sostanze patogene.

Un’impresa segue esattamente lo stesso principio.

– L’avviamento e la gestione di una piccola impresa richiedono un’impegno sproporzionato rispetto ai risultati attesi;

– I rischi di subire contraccolpi del mercato si sentono subito, e sovente non danno il tempo di reagire (le imprese grandi hanno invece meccanismi di gestione e amministrativi strutturati);

– Il mantenimento della struttura base per assicurare il funzionamento corretto dell’attività dev’essere assicurato anche a costo di ridurre gli utili (un’impresa grande può rinunciare a 1 o più collaboratori e/o ridurre gli spazi occupati);

– I rapporti con gli istituti di credito danno margini di contrattazione limitati, essendo i movimenti molto più ridotti;

– L’impegno di tempo ed energie necessarie, infine, per assicurare un controllo efficace (e rapido nelle reazioni) della gestione di una piccola impresa hanno davvero poco da invidiare a quelli che servono per una grande, e questo fa sentire il piccolo imprenditore, sovente, solo e sottovalutato.

Ma se nell’acquario c’è il pesciolino della foto (che per la cronaca si chiama Betta Splendens ma è più noto con quello di “pesce combattente”), anche l’impresa piccola può dire la sua e continuare ad essere, come è sempre stata, un elemento fondamentale del tessuto produttivo italiano. 

Paolo Mander - Atlantide©