La crescente competizione che investe le imprese private nel mondo occidentale richiede, come sempre nei momenti di crisi, un aumento della competitività per mantenere, se non accrescere, la propria posizione nel mercato di riferimento. Attività questa che coinvolge diversi aspetti della gestione aziendale: le attrezzature, il personale, la digitalizzazione dei processi, ma anche il modo di porsi nei confronti dell'”Universo” di riferimento.
Dunque entriamo nell’ambito del principale canale di comunicazione dell’impresa, la pubblicità.
Chi scrive ha vissuto in prima persona, per quarant’anni, il “conflitto” tra l’esigenza legittima di perseguire gli obiettivi di marketing dei propri clienti e il livello di accettabilità degli strumenti utilizzati per raggiungerli.
Tanto per capirci, nel 1982 firmai il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, 42 articoli che pongono paletti etici nel creare e diffondere, nonché commissionare messaggi pubblicitari, laddove la legislazione italiana presenta lacune e una certa obsolescenza (ci sono articoli risalenti all’anno 1925), autolimitando la mia attività di pubblicitario al rispetto di quel codice.
Quasi la totalità degli attori del mondo pubblicitario di quegli anni lo sottoscrissero, poiché vincolava le principali agenzie di pubblicità (Assap, Aipas e Otep), le principali agenzia media (TV e carta stampata) e i cosiddetti “big spender”, riuniti nell’associazione UPA (Utenti Pubblicità Associati). Aggiungo che, in oltre quarant’anni, la mia attività non è mai stata segnalata al Comitato di Accertamento ne ha affrontato contenziosi relativi alla proprietà intellettuale.
Dieci anni dopo, nell’ambito della mia professione, mi fu affidata tutta la comunicazione su carta stampata di uno dei più grandi commercianti d’Italia di arredamento di quegli anni, attività che svolsi per circa cinque anni (avevo già lavorato precedentemente con altre aziende leader del settore). Durante quell’esperienza ho verificato che un approccio alla pubblicità più soft rispetto a quello “borderline” che aveva sino ad allora caratterizzato l’immagine di marca, compatibile con l’impegno etico preso dieci anni, raggiungeva comunque gli obiettivi di marketing restando entro i limiti etici che mi ero posto.
Proprio recentemente il più grande commerciante di arredamento italiano, per fare un esempio diverso, é stato sanzionato pesantemente, e la sua campagna sospesa, in seguito a un pronunciamento avverso del Gran Giurì della pubblicità. Solo il tempo ci dirà se il danno alla sua immagine presenterà il conto o no, in futuro.
Ma la domanda che l’imprenditore spesso si pone, nel momento in cui decide la strategia di comunicazione, qualunque sia la dimensione dell’azienda che amministra, è se sia meglio avere risultati immediati rischiando ancor prima di una sanzione la propria “Brand Awarness”, oppure costruire il proprio successo con un po’ di pazienza e molta attenzione.
Se è vero infatti che nel breve periodo la pubblicità aggressiva rende (è questa la leva utilizzata oggi dagli “pseudo guru” del marketing online che popolano i social con offerte di consulenza corredate di promesse iperboliche), è altrettanto vero che la parabola discendente arriva, inesorabile, nel medio/lungo periodo: chi scrive è stato testimone di quella del mobiliere citato poc’anzi e ne ha visto in diretta tutte le fasi, sino alla inevitabile (e indecorosa) chiusura dell’attività e requiem per il marchio ovale.
Oggi i giovani e inesperti consulenti, ai quali manca anche, o soprattutto, lo “storico” di questo processo, divengono loro stessi vittime della promessa fatta, che si spegne dopo aver bruciato l’investimento in posizionamento di immagine fatto per anni da imprenditori illuminati (allora) e spaventati (oggi) da una crisi non facile certo, ma che per molti costituirà, come tutte le crisi, un’opportunità.
A questo punto domandiamoci anche, in una realtà in cui i valori etici legati all’ambiente, alla qualità della vita e al rispetto del mondo che ci circonda, noi compresi, sono considerati sempre più importanti, pensiamo davvero di poterli sottovalutare nella comunicazione pubblicitaria senza pagare dazio in termini di immagine soltanto per avere in cambio un risultato a breve?
La risposta l’avremo dalle imprese che, finita la crisi, saranno qui, più forti di prima.